L'Orto di Eleonora: "Uniti per sfidare nuovi mercati"

Browse
L'orto di Eleonora

Coesione, qualità, ricerca e marketing. Certi ingredienti di successo non si trovano a buon mercato, almeno in Sardegna. La straordinaria esperienza di “L’Orto di Eleonora”, l’organizzazione di produttori nata a Terralba e diffusa su tutto il territorio regionale, fa eccezione. Nata alla fine del 2009 per intuizione di quattro produttori della zona, oggi è una realtà da 20milioni di fatturato e 600 dipendenti, indotto compreso. Merito di una scommessa che prova a rivoluzionare il plurisecolare rapporto tra uomo e terra nell’isola. Vista dalla prospettiva di Salvatore Lotta, principale ispiratore e direttore commerciale della cooperativa Agricola Campidanese, cui appartiene il marchio, sembra tutto più semplice.

Punto primo. «Serve unità», afferma Lotta. «In Sardegna abbiamo una mentalità un po’ particolare, siamo diffidenti, molte volte la gelosia che non ci permette di fare passi molto importanti», spiega. «In Spagna le aziende come la nostra fatturano 100milioni all’anno e sono altamente competitive a livello internazionale pur restando radicate nel territorio», racconta. «Noi l’anno scorso abbiamo provato ad aggregare quattro o cinque organizzazioni di produttori – prosegue – per affrontare diversamente le sfide dei mercati internazionali, avere più voce in capitolo sui prezzi dei prodotti, abbattere i costi». Forse i tempi non sono ancora maturi, ma lo saranno a breve. D’altronde qualche anno fa, quando è iniziata l’avventura de L’Orto di Eleonora, in molti non avrebbero scommesso sul suo successo. «Mi sono sempre occupato di commerciale, prima per una azienda avicola e poi per una mia società di ortofrutta, e l’esperienza, i viaggi e il confronto con altre realtà mi hanno portato a capire che per far fronte all’esigenza di mercato occorreva aggregare l’offerta», ricorda Salvatore Lotta.

Agricola Campidanese nasce così. «Dal dialogo è nata la decisione di quattro piccole aziende, che hanno capito l’importanza dell’unione e hanno fatto un passo oltre le storiche resistenze – dice – subito dopo sono diventate undici, che è il limite minimo per essere riconosciute come organizzazione di produttori». All’inizio era un’alleanza fondata solo su angurie e meloni, nel 2010 il fatturato rendicontato è stato di 1milione e mezzo di euro. Nel frattempo la cooperativa e i suoi manager hanno continuato a studiare, a sondare il mercato, a viaggiare e conoscere altri modelli, con un’attenzione particolare alla Spagna. «Ci sono zone che ci somigliano tanto per vocazione produttiva, ma noi guardavamo soprattutto al modello, volevamo abbattere i costi e diventare competitivi». È così che si è passati in così poco tempo a quasi 20milioni di euro di fatturato. «Gli occupati erano venti e oggi sono 600, compresi quelli delle aziende aggregate», spiega il direttore. Ma l’azienda è destinata a crescere. «L’anno scorso abbiamo registrato un incremento del 47 percento – afferma Lotta – e quest’anno ci sono tutti i presupposti per ripetere un exploit del genere, che significherebbe crescere di quasi 10milioni di euro».

Dalle cucurbitacee, ossia angurie e meloni, si è passati a tutto il resto. «Produciamo e commercializziamo tutto ciò che è fresco». Per farlo, anche i confini si sono estesi. «Con la sola eccezione del Nuorese, che non ha una grande vocazione per le produzioni ortofrutticole, siamo in tutta la Sardegna – riferisce – da Santa Maria Coghinas a Pula, da Capoterra a tutto il Campidano, sino al Sulcis». Sul piano strutturale l’azienda diventa sempre più grande e amplia i propri mercati. «Per il 90 percento ci appoggiamo alla grande distribuzione, ai supermercati, sia in Italia che all’estero – prosegue Lotta – oltre Tirreno lavoriamo molto da Roma in su, mentre all’estero i nostri mercati di riferimento sono l’Olanda, l’Inghilterra, la Germania e, da quest’anno, il Belgio». E ogni giorno arrivano richieste di altre aziende e di altri territori: qualcosa anche in Sardegna sta cambiando. «Bisogna unirsi, creare strutture snelle, dotarle di persone valide, l’aggregazione è molto importante, erigere muri non serve a niente», predica Salvatore Lotta dall’alto di un’esperienza quasi visionaria.

Da questo cambio di prospettiva, deriva tutto il resto. «Aumenta la materia prima lavorata, ma nella nostra ottica è necessario continuare a dare il giusto valore al prodotto – è la formula – aumentano i soci e quelli già presenti fanno utili, investono e aumentano la produzione». A chi sa raccogliere le sfide, «la globalizzazione può portare vantaggi – sostiene – tutto ciò che si poteva fare ieri, in condizioni di mercato più protette e ristrette, oggi non ha più senso». Oggi invece serve «investire all’estero, scommettere in ricerca, seguire il mercato, stare attenti a ciò che chiede». A giugno, per esempio, L’Orto di Eleonora sarà anche bio. «Grazie all’ingresso di nuovi soci e alla scelta di alcuni soci vecchi, avremo un ramo interamente dedicato al biologico», annuncia il responsabile della commercializzazione dei prodotti de L’Orto di Eleonora. «È una svolta importante, a giugno inizieremo con le vendite». Una scommessa nuova, proprio come fu con Gavina, l’anguria di dimensioni ridotte. «Vidi quel tipo di anguria nel 2006, la trovai anche buona e ritenni interessante la sua commercializzazione – ricorda – nelle famiglie di oggi le angurie di una volta, da 15 chili ciascuna, non servono più». Piccola, facile da trasportare, consumabile senza sprechi, «ho pensato subito che potesse ritagliarsi un suo spazio di mercato, anche se mi dicevano che ero fuori di testa – sorride Salvatore Lotta – l’anno scorso i produttori di Gavina hanno prodotto reddito, chi è rimasto al tradizionale si mangia le mani».

Ovviamente, conta anche il grado di innovazione tecnologica e di sistema su cui si è disposti a investire, ma anche il marketing e la comunicazione. «Se fai ma non fai conoscere quello che fai, non serve a niente». Per esempio, «in Sardegna ci sono una marea di eccellenze, ma noi non conosciamo e non sfruttiamo il nostro territorio». E poi, «nell’isola importiamo il 70 percento di ciò che si consuma – aggiunge Lotta – considerato il numero di turisti, è come se da noi abitassero dodici mesi all’anno 4milioni e mezzo di persone, è un potenziale di mercato straordinario, ma dobbiamo studiare il mercato, conoscerne le esigenze, sapere intercettare la domanda e non continuare a fare quello che è sempre stato fatto, senza porci il problema di cosa vogliono i consumatori». Anche questa, se vogliamo, sarebbe una piccola rivoluzione. «Diversamente continueremo a parlare del costo del latte, dell’ortofrutta malpagata e così via – conclude – in realtà, se diamo quello che il consumatore vuole, il consumatore è disposto a pagarlo».

Ogni giorno a L’Orto di Eleonora arrivano cinquanta o sessanta curriculum. Persone che hanno perso il lavoro e non sanno come sostentare la famiglia, vittime della crisi che ha colpito l’edilizia e altri settori. «Questo ci investe di un ruolo sociale di cui sentiamo la responsabilità, il valore identitario della nostra azienda, il suo legame con questa terra non può essere solo utilizzato, ma va anche restituito – è la filosofia semplice di Lotta – nel 2013 abbiamo cominciato a creare utili, li abbiamo ridistribuiti alle aziende agricole, spiegando loro che è giusto ridarne anche a chi non ne ha». Nasce da qui un costante impegno sociale, che vede L’Orto di Eleonora spendere la propria immagine e i propri soldi in progetti a scopo sociale, dalla lotta alla violenza di genere allo screening, sino al sostegno ai Paesi in cerca di una soluzione per uscire dall’arretratezza economica e culturale. «In Burundi abbiamo acquistato un terreno e l’abbiamo affidato a una cooperativa di giovani vedove che seguono un gruppo di bambini – conclude Salvatore Lotta – lì abbiamo scuole con agronomi irlandesi, insegniamo a quelle persone a produrre lì». Potere dell’unione di un gruppo di aziende che sta rivoluzionando il modo di fare agricoltura in Sardegna.

Argomenti
Agricoltura
15/02/2017