Imprese e formazione professionale a distanza, Sardegna seconda in Italia

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La Sardegna è risultata seconda in Italia per numero di imprese che nel 2020, in piena pandemia da covid-19, hanno fatto ricorso alla formazione professionale a distanza dei propri dipendenti. Nell’isola il 59,7% delle imprese ha adottato questo sistema di formazione per poter attivare nuovi strumenti tecnologici e organizzativi introdotti in azienda. Una percentuale seconda solo all’Abruzzo, dove l’accesso alla formazione a distanza ha riguardato il 67% delle imprese.

Il dato si rileva da una pubblicazione dell’Istat che fa il punto sui livelli di formazione delle imprese italiane. In base all’analisi dell’Istituto nazionale di statistica nel 2020 il 68,9% delle imprese attive in Italia con almeno 10 addetti ha svolto attività di formazione professionale, tra le grandi imprese (250 addetti e più) la quota supera il 90%. Importante l’impegno in attività formative diverse dai corsi (+10,3% rispetto al 2015) come il training on the job, la partecipazione a convegni e seminari e soprattutto l’autoapprendimento mediante formazione a distanza. Oltre quattro milioni di lavoratori hanno partecipato a corsi di formazione (il 44,6% del totale degli addetti, con lievi differenze tra uomini e donne).

Nel triennio 2018-2020, fortemente influenzato dalla pandemia di covid 19, quasi tutte le imprese italiane hanno dichiarato di aver effettuato cambiamenti significativi: per sette imprese su 10 (e per quasi il 90% di quelle di grandi dimensioni), questi cambiamenti hanno interessato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In particolare, il 43,4% delle imprese riferisce di averlo fatto proprio come risposta alla crisi pandemica.

Le trasformazioni in corso negli ultimi anni hanno avuto impatto anche sul contesto gestionale delle imprese, modificandone i metodi di lavoro e le prassi organizzative (team autonomi, telelavoro, organizzazioni orizzontali), interessando due terzi delle imprese, soprattutto per l’emergenza sanitaria (il 60,3% delle imprese la segnala infatti come causa del cambiamento). Inoltre, quasi i due terzi delle imprese hanno ridefinito i propri processi produttivi, riconvertendo la produzione o sviluppando nuovi prodotti o servizi e il 48,8% ha modificato o ampliato i propri canali di vendita o metodi di fornitura/consegna dei prodotti o servizi (passaggio ai servizi online, e-commerce e modelli distributivi multi-canale).

In questo quadro di forte evoluzione tecnologica e organizzativa la formazione ha giocato un ruolo fondamentale. Ha svolto attività formative nel 2020 oltre il 70% delle imprese che hanno innovato i processi e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (74,3%) e di quelle che hanno cambiato metodi di lavoro e prassi organizzative (73,4%). Alcune differenze si osservano in termini di settore di attività. Se i settori delle ICT e dei servizi professionali emergono tra quelli che hanno introdotto i cambiamenti più rilevanti, le imprese attive in alloggio e ristorazione risaltano per aver utilizzato la formazione a supporto delle innovazioni, in percentuale maggiore (85,2%) rispetto ad altri settori.

Un terzo delle imprese dichiara che nel 2020 una parte dei propri addetti non aveva le competenze adeguate allo svolgimento del proprio lavoro secondo il livello richiesto. Nelle imprese di grandi dimensioni, il deficit di competenze riguarda due terzi delle unità. Tra le competenze da migliorare, quelle tecnico-operative emergono per la loro rilevanza (32,0%) rispetto al settore in cui le imprese operano. A queste si affiancano le competenze trasversali, come la capacità di contribuire al lavoro di gruppo (31,2%) e l’attitudine mirata alla soluzione dei problemi (29,8%), il cui ruolo è divenuto cruciale nella situazione emergenziale del 2020. Oltre alle competenze manageriali e gestionali (23,3%) le soft skills assumono dunque una valenza strategica per affrontare cambiamenti repentini e inaspettati, come quelli che l’emergenza sanitaria da covid-19 ha portato nel contesto produttivo, e non solo.

Nonostante la pandemia abbia accelerato la transizione digitale, le imprese scontano un deficit in tema di competenze informatiche professionali (26,1%) il cui aggiornamento è necessario per tutte. Rispetto al settore di attività, si osservano valori più alti sulle competenze tecnico-operative richieste nelle imprese nei servizi ICT (45,0%), dell’Industria (circa 43%) e nella Finanza (38,0%), e di quelle sul lavoro di squadra per il raggiungimento di un obiettivo comune in settori molto diversi tra loro come quello di trasporti e magazzinaggio (36,9%) e dei servizi finanziari (35,8%). Più di un terzo delle imprese (35,5%) indica inoltre le competenze tecnico-operative, ossia specifiche del lavoro, tra le competenze professionali importanti per lo sviluppo dell’impresa nei prossimi anni. Dato in calo ma in continuità con il 2015, anno della precedente indagine Istat sulla formazione professionale delle imprese. Di contro, rispetto alla passata edizione dell’indagine, cresce l’importanza attribuita per il futuro alle competenze informatiche professionali (che passano da 19,4% a 24,1%). Dopo le competenze tecnico-operative seguono in ordine di rilevanza la capacità nella gestione della clientela (32,0%), le competenze relative al team-working (28,5%) e al problem solving (25,2%), l’abilità nell’autogestire la propria attività lavorativa (18,9%) e la capacità di produrre idee originali (6,9%) rilevate per la prima volta nell’edizione 2020. Le competenze manageriali e gestionali, che sono indicate come importanti per il futuro dell’impresa dal 22,8% in media, lo sono per più del 50% delle grandi imprese con almeno 500 addetti.

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Formazione e risorse umane