Gli analisti italiani vanno oltre la crisi. «Ripensare profondamente gli strumenti di policy dell'economia globale»

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economia in crisi

Nell’ipotesi che la fase acuta dell’emergenza sanitaria si esaurisca a metà del secondo trimestre 2020, le imprese attive in Italia nel settore manifatturiero passeranno dal 40% di inizio aprile, al 70% a inizio di maggio, per arrivare al 100% alla fine di giugno. È quanto stima il rapporto del Centro Studi di Confindustria, che presenta le previsioni per l’economia italiana tra 2020 e 2021 e analizza l’evoluzione dei fattori geo-economici più rilevanti per il Paese. Nonostante l’ottimismo sul fatto che da metà maggio l’emergenza sanitaria vada a esaurirsi, per il rapporto «la caduta del Pil nel secondo trimestre è del 10%rispetto a fine 2019» e «la ripartenza sarà frenata dalla debolezza della domanda di beni e servizi».

Gli stessi analisti di Confindustria spiegano che «del realismo o dell’ottimismo di quest’ipotesi lo diranno i prossimi mesi», ma «se la situazione sanitaria non evolvesse positivamente, le previsioni andrebbero riviste al ribasso». Di certo «nel 2020 un netto calo del Pil è inevitabile», e nella rosea ipotesi contenuta nel rapporto sarà del 6%. «È un crollo superiore a quello del 2009 – dicono gli esperti – e ogni settimana in più di blocco produttivo potrebbe costare un altro 0.75% di Pil».

Per gli industriali «l’azione di politica economica in questa prima fase deve preservare il tessuto produttivo del Paese, impedendo che la recessione profonda distrugga parte del potenziale e si traduca in una depressione prolungata, con aumento della disoccupazione e crollo del benessere sociale». Allo scopo «occorre mobilitare risorse rilevanti per un piano di ripresa economica e sociale a coordinamento europeo», dicono gli analisti.

Per lo studio dei confindustriali la componente di Pil più colpita sono gli investimenti delle imprese, che calano del 10.6%. «Tra calo della domanda, aumento dell’incertezza, riduzione del credito e chiusure forzate dell’attività è proibitivo per un’azienda realizzare nuovi progetti produttivi – è il punto – la stessa prosecuzione dell’attività corrente è compromessa o a forte rischio». Cala del 5.1% l’export. «La riduzione delle vendite estere è legata a quella degli scambi mondiali e delle filiere di produzione nei Paesi europei – si prevede – e i rischi sono fortemente al ribasso perché il blocco dell’attività internazionale più lungo e diffuso porterebbe al crollo del commercio mondiale». Infine frenano i consumi delle famiglie, eccetto generi alimentari e prodotti farmaceutici. La spesa privata cala del 6.8% rispetto al 2019.

Il quadro produce una pressione senza precedenti sulla capacità di resilienza del sistema produttivo italiano, dalla cui tenuta dipende la prospettiva di rilancio del Paese: dall’industria dipendono un terzo dei lavoratori in Italia. «È urgente evitare che il blocco dell’offerta e il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità nelle imprese, e che la crisi di liquidità diventi un problema di solvibilità anche per chi, prima dell’epidemia, aveva bilanci e prospettive solide», è l’attesa.

Per far fronte l’emergenza globale «c’è necessità di interventi eccezionali e immediati di politica economica». Superata la bufera, servirà «un ripensamento profondo degli strumenti di policy a disposizione, in un’ottica sovranazionale e di medio-lungo periodo». Il ripensamento riguarderà la sostenibilità della crescita mondiale, le regole europee, i legami finanziari tra Europa e Usa e la governance degli scambi mondiali.

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Industria
07/04/2020