Il termine “Tecno-stress” è stato coniato dallo psicologo americano Craig Brod nel 1984. Brod definì il “tecno-stress” come una vera e propria malattia professionale, un disturbo causato dall’incapacità di gestire le moderne tecnologie informatiche e manifestato in due modalità:
a) lotta per accettare le tecnologie e operare con esse;
b) eccesso di identificazione con la tecnologia informatica.
Secondo i suoi studi, i sintomi principali erano quelli propri delle sindromi da stress da lavoro correlato: ansia, affaticamento mentale, attacchi di panico, depressione.
Dal 2011, in Italia è obbligatorio per le aziende effettuare la Valutazione del rischio relativa allo stress da lavoro correlato. La Commissione europea si è occupata del fenomeno dal 2009, formulando una prima classificazione contenuta nel paper “L’incremento dell’utilizzo di computers portatili e di dispositivi di comunicazione e il suo impatto sulla salute dei lavoratori UE”.
I dati raccolti dalla Commissione europea dimostravano come il concetto di “ambiente di lavoro”, nel caso dei lavoratori sempre connessi, definiti “mobile e-workers”, fosse ormai obsoleto e sostituito da una gamma molteplice di ambienti diversi, reali e virtuali. Venne così coniato il termine “multi-locational work”, a evidenziare la perdita dell’unità di spazio, di tempo e di luogo tra produzione, risorse umane, obiettivi aziendali e partners coinvolti nel processo. Secondo quell’indagine, datata 2009:
- il 92, 4% degli e-workers utilizzava la connessione internet per spedire e ricevere e-mail;
- il 75% navigava su internet e si collegava al sistema informatico aziendale;
- il 37% utilizzava i dispositivi mobili per trasferire dati durante gli spostamenti per lavoro;
- il 5,6% degli e-workers utilizzava luoghi fisici attrezzati per il tele-lavoro (sale wi-fi dotate di servizi specifici).
Lo studio UE prevedeva che «nel futuro tutti i lavoratori saranno connessi a internet attraverso vari tipi di dispositivi portatili, le piattaforme basate su internet domineranno gli ambienti di lavoro e influenzeranno ogni attività lavorativa e ogni competenza».
Oggi sperimentiamo come la previsione fosse corretta, ma se tutto ciò accresce la produttività e le competenze dei lavoratori, allo stesso tempo accresce la quantità e la qualità dei fattori che generano stress-lavoro correlato. Almeno per due motivi:
1. l’allargamento infinito dell’ambiente di lavoro e delle sue componenti di stimolo: fisiche, relazionali, materiali, immateriali;
2. lo stato di connessione H 24.
Potenzialmente, a produrre danni sarebbe sufficiente l’esposizione dei lavoratori alle applicazioni “social” più diffuse, cui si aggiunge l’esposizione ad applicazioni specialistiche, aziendali, che circoscrivono il ciclo produttivo dell'operatore.
Alla luce di tutto ciò, è di vitale importanza che le aziende ottemperino correttamente all’obbligo della Valutazione del rischio relativa allo stress da lavoro correlato, non trascurando di integrare la valutazione con un’attenta analisi del contesto aziendale relativo al tecno-stress.
Nell’ambito di tale analisi sarebbe molto importante verificare se le aziende garantiscono l’esercizio del “diritto dei lavoratori alla disconnessione”, stabilendo precisi confini tra l’ambito personale e quello lavorativo. D’altronde l’attualità e l’urgenza delle problematiche legate al cosiddetto “tecno-stress” sono testimoniate da alcuni recenti interventi legislativi europei. Dal 1° gennaio scorso in Francia il “diritto alla disconnessione” è sancito per legge. La norma, contenuta nell’articolo 55 della “Loi du Travail”, impone alle aziende con più di 50 dipendenti di negoziare con i lavoratori il diritto a non rispondere a mail e telefonate al di fuori degli orari di lavoro. La norma francese intende stabilire un confine tra flessibilità del lavoro e presenza della tecnologia, che consente di essere sempre connessi. Il fine è di garantire il diritto dei lavoratori anche ad una vita “offline”.
In Italia è all’esame del Parlamento il disegno di legge sul lavoro autonomo e sullo “smart working”, il lavoro agile, che prevede che la prestazione dello smart worker sia eseguita senza la rigida determinazione di tempo e luogo. Nel testo approvato dal Senato, ora all’esame della Camera, si riconosce espressamente il diritto alla disconnessione ma «nel rispetto degli obiettivi concordati tra lavoratore e datore di lavoro».