Salute e sicurezza: Caso aziendale Bekaert Sardegna SPA - Intervista a Roberto Secchi

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Bekaert Sardegna SPA

Può fare una sintesi della storia di questo stabilimento?

Prima del mio arrivo l’azienda si chiamava GENCORD ed aveva circa 500 dipendenti. Io arrivai, nel 1998 come area manager in turno, quando l’azienda fu rilevata dai Giapponesi della BRIDGESTONE METALPHA. Dal primo Aprile 2010 è passata ai Belgi della multinazionale BEKAERT e oggi siamo 197 lavoratori, di cui un quinto impiegati, e si lavora a ciclo continuo, cioè 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.

Da capo turno ad Amministratore Delegato: una bella storia da raccontare?

Tutto sommato sì. Conosco tutti i lavoratori, uno per uno, e tutti i processi produttivi nel dettaglio: è un patrimonio di conoscenza molto prezioso nel mio ruolo attuale.

La sua azienda fa parte di un gruppo multinazionale: quali sono i punti di forza e quali di debolezza rispetto agli altri stabilimenti del gruppo sparsi nel mondo ?

Noi in Italia abbiamo costi molto elevati su energia, trasporti e personale. In Romania, per esempio, il costo del lavoro di uno stabilimento analogo è solo il 20% del nostro. Questo ci ha costretti a diventare molto efficienti se vogliamo restare competitivi. Per cui se devo scegliere un punto di forza direi che è l’organizzazione e la capacità delle persone che con me collaborano di mettersi continuamente in gioco per trovare tutte le soluzioni possibili per rendere la nostra realtà sempre più efficiente.

Mi spieghi meglio.

Quando arrivò, la nuova proprietà giapponese fece ingenti investimenti per ridurre quanto più possibile la movimentazione manuale dei carichi, in quanto il nostro tipo di produzione comporta una massiccia presenza di bobine di varie dimensioni che devono essere continuamente spostate da un processo ad un altro. Oltre ad investire su macchinari, impianti, infrastrutture e su una meccanizzazione generalizzata delle attività di movimentazione rendendo la BKSA un gioiello di Tecnologia, i Giapponesi introdussero la loro filosofia aziendale.

Quale?

Una filosofia che si traduce in una cultura aziendale basata sui buoni e continui miglioramenti, chiamati Kaizen in giapponese. Senza una buona organizzazione basata su un alto grado di coinvolgimento e responsabilizzazione di tutti i lavoratori, i miglioramenti rischiano di restare solo ipotesi e si perde efficienza e produttività.   

Nella scheda informativa che rilasciate a tutti i visitatori dello stabilimento c’è scritto che state introducendo nei reparti il concetto di Minicompany: cos’è?

È un modello partecipativo che riguarda le decisioni da prendere in un reparto: si segnala un problema, lo si mette a fuoco, si trovano soluzioni e si applica la più efficiente. Il tutto con la partecipazione di tutti.

La partecipazione dei lavoratori è anche la chiave di volta della moderna sicurezza: a quando risale il vostro ultimo infortunio?

Ad oggi (11 novembre 2015, ndr) siamo 1807 giorni, cioè più di quattro anni senza infortuni. Solo 7 stabilimenti Bekaert su circa 100 in tutto il mondo sono arrivati a questo traguardo.

Complimenti davvero. Come siete arrivati a questo risultato eccezionale?

È il frutto di un miglioramento continuo, il Kaizen, appunto. Quando si riesce a far percepire al lavoratore che il suo lavoro può diventare sempre più efficiente, sicuro e meno faticoso attraverso il suo personale contributo, allora è legittimo attendersi questi risultati. Ma per creare queste condizioni occorre dedicare molto tempo ai dettagli organizzativi e procedurali, e per poterlo fare bisogna guardare al medio-lungo periodo.

Può farmi un esempio?

Noi abbiamo una procedura basata sulle videoSOP, cioè riprese video su tutte quelle lavorazioni che comportano il rispetto di una sequenza di azioni da fare in un determinato modo per poter raggiungere il massimo livello di qualità, efficienza e sicurezza fino a quel momento ritenuti possibili. La procedura prevede che i video siano illustrati periodicamente ai lavoratori, sia per essere assimilati correttamente, sia per essere punto di partenza per nuovi miglioramenti possibili da apportare a quella specifica attività rappresentata.

Qual è l’ambito della sicurezza che da voi richiede il maggior impegno per ottenere miglioramenti?

Direi che sono tutte quelle attività che comportano sforzi fisici e movimenti ripetitivi. Questi sono i nostri rischi più importanti per la salute e su questo siamo impegnati a più livelli, soprattutto attraverso la collaborazione con il nostro medico competente.

Ha mai dovuto sanzionare un lavoratore per ragioni legate alla sicurezza?

È abbastanza frequente.

Quali sono i motivi più ricorrenti?

Il mancato rispetto delle procedure e, quindi, delle regole che ci siamo dati.

Che tipo di sanzioni vengono applicate?

Dipende da vari fattori, primi fra tutti dalla gravità della negligenza commessa e dalla reiterazione della stessa. Viene sempre coinvolto un comitato disciplinare con la presenza dei rappresentanti sindacali e si può arrivare anche a delle sanzioni pecuniarie. Comunque non è mai stato licenziato nessuno, per nessun motivo in generale.

Di solito quando un'azienda richiede l’integrale rispetto delle regole ha anche dei sistemi di incentivazione.

È anche il nostro caso. L’anno scorso, per esempio, è stato dato un premio in denaro a tutto il personale per gli obiettivi di sicurezza raggiunti, mentre due anni fa sono stati premiati due lavoratori che si sono distinti nel suggerire soluzioni innovative sul fronte del risparmio sui costi aziendali.

Qual' è la sua opinione sulla cultura della sicurezza nel nostro contesto regionale ?

Purtroppo vedo ancora troppo diffusa la mentalità del lavoro a cottimo, quella mentalità per cui si pensa che prima si finisce un lavoro meglio è. E questo vale sia per i lavoratori che per i datori di lavoro. Ma questa mentalità non può che portare a danni certi sia per la sicurezza, cioè infortuni causati dalla fretta che non fa rispettare le regole, sia per la salute, perché non si rispettano i tempi di recupero fisiologico del corpo. Ma c’è anche un altro aspetto culturale.

Quale?

Il fatto che in molte imprese ancora si dice ai lavoratori che sia meglio portare in fabbrica il cervello e lasciare a casa il cuore, per avere meno problemi. L’esperienza mi dice che è una strada sbagliata.

Non è quella che si fa per arrivare alla vostra fabbrica?

No, assolutamente.

 

Argomenti
Ambiente e salute
17/11/2015