Edilizia, la sfida della sostenibilità parla sardo

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Per coniugare spirito d’impresa e sostenibilità ci vuole una grande vocazione ambientale, una predisposizione naturale all’innovazione, una dose spropositata di coraggio e una discreta esperienza aziendale. A Pier Luigi Damiani, cresciuto a Decimomannu, studi a Cagliari, prime esperienze lavorative a Macchiareddu e un’intera carriera da dirigente aziendale tra il Piemonte e la Sardegna, non mancano certo la coscienza ecologica, una innata curiosità, una incoscienza quasi giovanile – sebbene fondata sui risultati di indagini e studi condotti insieme a Sardegna Ricerche e Università di Cagliari – e la formazione imprenditoriale di chi in fabbrica c’è entrato come operaio e ha chiuso come amministratore delegato. È intorno a questa singolare figura di imprenditore sardo dall’orizzonte internazionale e dagli obiettivi chiari, che si tiene giovane grazie al lavoro e a un continuo andirivieni tra l’isola e il resto d’Italia, che ruota il progetto sperimentale di Brebey.

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La cooperativa di Decimomannu ha sviluppato un’idea brevettuale che fa fare un consistente balzo in avanti alle tecnologie applicate all’utilizzo della lana di pecora nell’edilizia. Vincitrice nel 2014 del premio Impresa Ambiente come migliore innovazione di processo e tecnologia, finalista lo scorso anno all’European business award for the environment, il più importante premio europeo sull’innovazione sostenibile, che l’ha vista posizionarsi tra le prime dieci idee su 5mila iscritte al concorso, oggi Brebey, dopo cinque anni di ricerche, esperimenti, messe a punto, certificazioni e attestazioni, ha smesso i panni della startup innovativa: nel febbraio scorso è stata inserita nell’elenco speciale delle Pmi innovative, che in tutta Italia sono appena 540.

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«Dell’uso in edilizia della lana si parla dagli anni Novanta, ma all’inizio l’idea non se la filava nessuno». Il racconto di Pier Luigi Damiani inizia così, con un viaggio a ritroso alle origini di un segmento di mercato che ancora oggi rappresenta una piccolissima nicchia, rispetto ai prodotti più diffusi per l’isolamento termico. A fronte degli oltre 2miliardi di metri quadri di lana di vetro utilizzati in Europa nel 2014, e dei quasi 2miliardi di polistirene usato per le stesse finalità, la lana di pecora rientra nella sottocategoria degli isolanti naturali – di cui fanno parte anche fibra di legno, cellulosa, cocco, canapa e sughero – che insieme agli isolanti porosi naturali e sintetici, agli isolanti fibrosi sintetici e agli isolanti cellulari sintetici compongono la voce altri materiali, il cui utilizzo si attesta intorno ai 23milioni di metri quadri, pari a una quota di mercato intorno allo 0,40%.

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«Una decina di anni fa, grazie all’irrompere di una nuova attenzione per l’ambiente e dei nuovi obiettivi fissati a Kyoto – prosegue Damiani – gli isolanti naturali hanno iniziato a prendere piede». E anche lui, nel frattempo già rientrato in Sardegna da qualche anno per coniugare meglio alcuni suoi interessi imprenditoriali con l’amore per l’isola, «ho iniziato a ragione per capire cosa si poteva fare». È in quella fase che Brebey, la cooperativa costituita insieme ai figli, ma anche ad agronomi ed esponenti del mondo agropastorale, ha avviato il confronto con l’Università di Cagliari e in particolare con Paolo Giuseppe Mura, docente di Fisica tecnica a Ingegneria.

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Oggi il core business su cui Brebey intende puntare sono dei rotoli realizzati da lana sarda e prodotti per l’isolamento termico attraverso un processo protetto da brevetto e da un “patent” ministeriale. Ma dato che soprattutto nelle sfide verso una sempre maggiore sostenibilità la ricerca e i cambiamenti sono continui, oggi Brebey è impegnata nell’individuare materiali o processi produttivi con cui sostituire le fibre termofondenti in poliestere bicomponente che rendono unico il pannello termico in lana di pecora sarda. La fase di startup, durante la quale l’azienda di Decimomannu è stata affiancata da Sardegna Ricerche, si può dire completata. E ora la Pmi innovativa è pronta a sfidare il mercato con un prodotto assolutamente unico per caratteristiche tecniche e per risultati, come attestano le certificazioni di Accredia, l’Ente italiano di accreditamento, l’unico organismo nazionale autorizzato dallo Stato a svolgere attività di accreditamento.

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Dai dati emerge che gli isolanti naturali sono destinati ad avere in Europa una crescita annua del 2,80%. Tra questi c’è anche la lana di pecora, e per caratteristiche quella sarda è assimilabile a quella di molte altre zone d’Italia, ma anche del Vecchio Continente e del Maghreb. Questo significa che l’idea di Brebey, come confermano i riconoscimenti conquistati e le attestazioni acquisite, ha un altissimo potenziale di mercato. Pier Luigi Damiani è attualmente impegnato in una intensa attività di divulgazione, tra convegni, dibattiti, fiere e confronti con aziende del comparto. «Credo che al decollo di questo prodotto manchi soprattutto il radicamento di una vera coscienza ambientale, che predisponga il committente ma anche le imprese a qualche sacrificio economico pur di costruire secondo standard di sostenibilità sempre più elevati», dice Damiani.

Il suo entusiasmo e la sua idea dovrebbe fare da stimolo alla nascita di una vera e propria filiera “made in Sardegna”, per la quale oggi mancano alcune condizioni strutturali. «Oggi produrre nell’isola rischia di rappresentare un costo ingiustificato», è il monito rivolto a potenziali imprenditori affascinati dall’idea di entrare in un mercato in espansione e, soprattutto, a chi ha il potere di incentivare l’utilizzo dei materiali naturali. «Per il momento abbiamo fatto un accordo con un’impresa metalmeccanica d’oltre Tirreno, specializzata nella realizzazione di macchinari per la produzione di tessuto non tessuto – dichiara l’amministratore delegato di Brebey – noi portiamo avanti nei loro stabilimenti la nostra produzione e le nostre evoluzioni tecnologiche, loro commercializzano la nostra idea di prodotto in giro per il mondo, includendola tra le diverse tipologie di macchine che sono in grado di fornire».

Oggi è praticamente impossibile reperire in Sardegna lana lavata. Acquistarla sporca nell’isola, portarla a Bergamo – dove si trova il più importante stabilimento di lavaggio della lana sul territorio peninsulare – e varcare di nuovo il mare per lavorarla nel territorio regionale avrebbe dei costi insostenibili. Ecco che allora Pier Luigi Damiani fa la sua proposta. «Incentivando l’utilizzo della lana in edilizia, magari prevedendo che l’uso di questo e altri isolanti naturali sia premiato maggiormente dagli incentivi fiscali sul risparmio energetico rispetto a materiali non naturali – propone Damiani – potrebbe stimolare al punto il mercato locale da ispirare una produzione sarda di dimensioni sperimentali, che possa fare da traino a ulteriori investimenti». Il guanto di sfida è lanciato.

30/08/2017