Vigne Surrau, da Arzachena alla conquista del mondo

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Vigne Surrau, da Arzachena alla conquista del mondo

UN SUCCESSO SENZA SEGRETI

Investire sulla qualità, innovare, comunicare, fare squadra. La ricetta dello straordinario successo di Vigne Surrau è senza segreti. C’è solo la straordinaria passione di una famiglia legatissima al suo territorio e alle sue origini, la disponibilità economica di chi dal niente ha saputo creare un solido business tra edilizia e turismo, la vocazione imprenditoriale che di generazione in generazione spinge ad anticipare i tempi, cavalcarli, interpretarli. Il racconto dell’exploit di Vigne Surrau, appena undici vendemmie alle spalle e una storia già unica e paradigmatica, è anche il racconto delle scelte della famiglia Demuro.

L’INIZIO

Prima di entrare nel vivo del racconto, può essere utile riferirsi ad alcuni elementi. Surrau nasce nei primi anni Duemila da una vocazione verso il mondo vitivinicolo che la famiglia Demuro ha sempre avuto. Surrau è il nome della località in cui si trova lo stazzo di famiglia. È un’azienda giovane nel panorama vitivinicolo, ma la proprietà ha sempre avuto le idee chiare. Si trova ad Arzachena, nel cuore della Gallura. La cantina ha sede a Chilvagghja, una località al primo chilometro della provinciale che da Arzachena conduce a Porto Cervo. Come tutto da queste parti, l’obiettivo è l’eccellenza massima possibile.

LA PRIMA SFIDA

In un territorio vocato al bianco, si sono impiantati i vigneti e la prima annata commercializzata, il 2005, è stata caratterizzata dal successo di un rosso, il “Surrau”, ancora presente nel portfolio della cantina. Simbolo della sfida dei Demuro: produrre grandi bianchi, tutti da Vermentino di Gallura Docg, ma consentire al territorio gallurese di esprimersi anche attraverso nuovi rossi da vitigni autoctoni sardi, come il Cannonau, il Carignano e il Bovale sardo, utilizzando vitigni italiani solo per pochi blend.

L’azienda ha avuto subito un’espansione e uno sviluppo importanti, la proprietà proviene da un settore di business diverso, si occupa di materiali per l’edilizia, di turismo, perciò ha avuto l’intuizione e la sensibilità di affidarsi a professionisti del mondo del vino pur gestendo sempre l’azienda direttamente. Oggi possiede 50 ettari vitati e commercializza 300mila bottiglie. L’uva è interamente autoprodotta in territorio di Arzachena, a pochi chilometri di distanza dall’azienda, con un vantaggio notevole in termini di qualitativi.

LE PREVISIONI

La produzione aumenterà. Il piano prevede che altri 12 ettari di vigneto impiantati in due anni portino la capacità produttiva a crescere, pur rimanendo su livelli qualitativi elevati grazie al principio dell’autoproduzione locale, sino ad arrivare a circa 600mila bottiglie entro al massimo cinque anni. Oggi l’export rappresenta il 25% della commercializzazione, ma nonostante l’aumento di produzione è destinato a crescere. I mercati di riferimento sono Usa, Germania, Svizzera, Canada, Gran Bretagna, Australia, Brasile e Russia. Il mercato sardo, al contrario, oggi costituisce il 70% del fatturato di Surrau, ma calerà in funzione proprio di questa vocazione internazionale cui tutto tende, dal marketing alla comunicazione. Compresa la nuova concezione della cantina.

LA CANTINA

In Surrau è tutto nuovo. Anche la concezione della cantina. Realizzata nel 2009 con canoni architettonici estremamente avveniristici, fonda su un progetto presentato nel 2010 alla Biennale di Venezia. Incarna perfettamente la filosofia di Vigne Surrau e della famiglia Demuro. L’uso di materiali locali, che raccontano il territorio e tengono fede al legame con la tradizione, è miscelato a una visione nuovissima, che porta avanti di parecchi anni l’idea di cantina in Italia. L’abbondante uso di principi di design, la trasparenza fisica e metaforica, con vetrate che consentono di godere il panorama esterno ma lasciare centralità al vino e alle vari fasi della produzione, lo trasformano in un originalissimo, sofisticato e accogliente luogo incontro, uno spazio ospitale che ogni anno è meta di 20mila visitatori provenienti da tutto il mondo, in base ai flussi turistici della Costa Smeralda ma non solo.

LA STRATEGIA

Oggi Vigne Surrau ha un general manager, Fabio Magon, che viene dal marketing enologico e da importanti esperienze con altre realtà vitivinicole italiane. Tanto per dire del livello di innovazione, l’azienda dispone anche di un direttore artistico, che si occupa del “progetto cantina”. È l’architetto Cecilia Olivieri. I due ambiti fanno squadra e lavorano a stretto contatto per la comunicazione congiunta della cantina e del marchio. Una comunicazione e un marketing innovativo, dalle sponsorizzazioni sportive alle attività esterne, passando per la centralità di quello spazio moderno e accogliente che è meta continua di turisti, nonché sede di importanti mostre pittoriche, reading letterari, appuntamenti culturali convegni, congressi e meeting, ma anche incontri di lavoro. Uno spazio aperto tutti i giorni dell’anno o quasi, il primo biglietto da visita di un’azienda che la sua storia la sta costruendo a suon di novità e di scommesse vinte.

LE ORIGINI

Con le parole di Tino Demuro, persona di grande brillantezza e notevole eclettismo culturale, politico e imprenditoriale, già sindaco di Arzachena e assessore regionale dell’Agricoltura negli anni Novanta, è un racconto avvincente e ricco di spunti per un comparto, quello vitivinicolo, che ha bisogno di storie come questa per provare a farsi avanti con decisione nel mercato internazionale. «Proveniamo da altre attività economiche, ma come tutti gli italiani, i sardi e i galluresi abbiamo origini agro-pastorali», racconta con orgoglio l’amministratore della società a responsabilità limitata che gestisce con due fratelli, quattro figli e due nipoti. «Mio padre, che aveva dodici figli, gestiva un emporio, si occupava di trasporti tra Olbia, Arzachena e Palau – ricorda – trasportava cemento, calce e grano da un porto all’altro, ma commerciava anche bibite e vini sfusi». Aveva anche uno stazzo. «Era una sorta di azienda familiare, l’attività di sostentamento per la famiglia ma anche per vendere e barattare prodotti». In quello stazzo a Surrau c’era anche la vigna. «Tutti davamo una mano, tutti eravamo appassionati – dice Tino Demuro – fondamentalmente proveniamo da quel mondo».

LA SCELTA

«Negli anni Sessanta ci siamo orientati all’edilizia e al turismo, ma nei primi Duemila abbiamo recuperato le tradizioni agropastroali e ci siamo dotati di una vigna». Da assessore regionale, Tino Demuro aveva sostenuto la causa del Docg per il Vermentino di Gallura. Ma ai Demuro piacciono le sfide. «Abbiamo cominciato con cinque ettari di rosso, una scommessa nella scommessa», afferma. «Dopo le prime soddisfazioni, i primi riconoscimenti, le prime manifestazioni, che servono per confrontarsi e per testarsi col giudizio altrui, abbiamo capito che valeva la pena abbiamo deciso di fare sul serio», prosegue. «Disponevamo di altre attività a supporto, che ci consentivano di finanziare questa scommessa e ci siamo dotati di buoni professionisti, dai vignaioli all’enologo e agli agronomi – spiega – noi messo ci abbiamo messo la testa, le risorse e la disponibilità a fare qualcosa di nuovo e di innovativo nel campo della qualità».

LA PASSIONE

«In altre attività, come l’edilizia, compri la merce, la metti in magazzino, la vendi. L’attività vitivinicola è diversa, c’è l’anima, la passione, c’è la soddisfazione di trasformare un prodotto che nasce da zero, che racconta di te, della tua famiglia e del tuo territorio», dice Tino Demuro. Una passione che si riflette anche sulle scelte. «Sperimentare ci piace, per capire quali sono davvero le vocazioni mai esplose del nostro territorio, ma al 70% vinifichiamo bianco, Vermentino di Gallura Docg – aggiunge – dal passito alle bollicine, sino al vino fermo, ci siamo specializzati».

LA LOCALITA'

Capovolgendo un modo di dire, si potrebbe sostenere che Vigne Surrau ha fatto di virtù necessità. «Abbiamo dato fondo alla storia della territorialità, questa è una zona fortunata per l’utenza turistica di passaggio, siamo sulla strada principale per Porto Cervo, questo posto è una vetrina internazionale, e questo ha facilitato la commercializzazione», è la sua tesi. «Per questo abbiamo pensato a un’azienda diversa da quella tradizionale, a una produzione che punta sulla qualità, limitando la quantità anche se, per stare in certi mercati, devi assecondare determinati livelli di occupazione dello scaffale – va avanti – ma ci siamo attrezzati per essere competitivi, cercando di andare controcorrente nella promozione del prodotto, nel modo di far crescere e affacciare il nostro prodotto sul mercato».

LA NARRAZIONE

Tino Demuro è di una sincerità quasi spiazzante. «Sappiamo benissimo che ci sono tantissimi prodotti di ottima fattura, non siamo convinti di essere i soli a lavorare bene», ammette. «Quando io facevo l’assessore, in Sardegna c’erano al massimo una quarantina di cantine, ora sono 170 ma quelle conosciute sono molte meno», spiega. Ecco che per emergere serve qualcosa di diverso. «L’abbiamo scoperto in cammino e ci siamo attrezzati, dotandoci per esempio di una cantina diversa dalle altre, che favorisse una proposta di commercializzazione dei prodotti diversa», ricorda ancora l’ad di Vigne Surrau. «Abbiamo puntato sulla valorizzazione dell’arte e della cultura, la presentazione di libri, film, eventi dedicati alla fotografia internazionale ci ha permesso di girare il mondo e iniziare a portare il nostro vino in contesti diversi, viaggiando con i nostri partner», prosegue per raccontare come ci si è affacciati sui mercati italiani ed esteri. Tokyo, Londa, Berlino. Per scoprire che essere a Porto Cervo è un vantaggio. «In Giappone, mentre cercavo di spiegare a un potenziale buyer dove fosse la Sardegna ma senza successo, ho visto in una vetrina una gigantografia di Porto Cervo – dice ancora Demuro – è bastato indicare quella foto e dire “noi siamo qua”, e tutti sapevano tutto».

LA PROVOCAZIONE

«Il mercato del vino è internazionale per natura, occorre essere nel mondo e il modo migliore di farlo è raccontare un territorio, la sua anima, la sua identità», è la convinzione di Tino Demuro, che per questo invita tutti gli altri operatori a fare quadrato. «Ci sono posti minuscoli in cui tantissime microrealtà si presentano insieme e insieme fanno “marchio”, dando a quel territorio una ricchezza che per forza di cose ricade anche sulle aziende – è la teoria – qui in Sardegna fare questo è difficilissimo, perché non c’è la tendenza a fare rete, consorzi e cooperative funzionano poco per via del nostro carattere, ci si sente ancora concorrenti e questo è sbagliato, se il Vermentino di Gallura, per fare un esempio, va nel mondo, è un bene per tutti». L’appello è a una «realtà sarda dove ancora questo tipo di approccio ha difficoltà, il vino è un mondo di relazione, in cui fa bene, confrontarsi, apprendere, scambiare».

IL RUOLO DEL PUBBLICO

«Eravamo indietro di decenni, ma stiamo recuperando», è la sua convinzione. «La Sardegna è partita da zero, ma secondo le previsioni è destinata alla quinta posizione in Italia come produzione e commercializzazione di vini – conclude – la politica deve assecondare l’unione, altrimenti non si va da nessuna parte, promuovere lo spirito collettivo, la Regione sta facendo qualcosa in questo senso, bisogna proseguire in questa strada, e non solo in agricoltura». Un primo passo, a livello comunitario e non solo, potrebbe essere «la sburocratizzazione del sistema», è la proposta. Tino Demuro è favorevole ai controlli e alle certificazioni, «che tutelano chi come noi punta alla qualità, ci mette al riparo da chi froda e vente prodotti scarsi a pochi euro, mettendoci fuori mercato». Ma «proprio perché sono stato anche dall’altra parte della scrivania, dico che le imprese vanno aiutate a crescere».

Argomenti
Agricoltura, Internazionalizzazione ed export
26/04/2017