Donne e impresa, Michaela Vargiu scommette sulla tradizione

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intervista michaela vargiu

A certe donne il coraggio di fare impresa non manca. Ad alcune di loro, poi, non ha mai spaventato neanche l’idea di dover varcare il Tirreno per realizzare le proprie idee. Ma ci sono donne che hanno così tanto coraggio che scelgono di tornare, di abbandonare i luoghi in cui la loro attività e la loro intraprendenza erano già un “marchio di fabbrica”, per rientrare nell’isola e investire qui, di mettere a frutto in Sardegna il bagaglio di competenze teoriche e di capacità pratiche sviluppate altrove. È il caso di Michaela Vargiu, designer e stilista, imprenditrice soprattutto. Non è stata la nostalgia a riportarla qui, né una situazione di vera e propria necessità. È stata la sua ostinata motivazione per un progetto che ora, dopo alcuni anni di nomadismo, ha trovato base a Cagliari, dove in via Alagon è sorto da alcuni mesi il Michaela Vargiu Designer. Michaela Vargiu ha studiato, ha fatto le prime esperienze e si è formata a Milano: per chi vuole vivere di moda e di creatività, in Italia non c’è posto migliore. Eppure alcuni fa Michaela Vargiu ha scelto di venire in Sardegna, aprire la propria boutique e scommettere un progetto a metà di innovazione e identità, su forti legami con la cultura e la storia economica della Sardegna e chiarissime influenze metropolitane, internazionali.

«Realizzo borse con i tessuti fatti a telaio nei paesi del distretto sardo del tessile», è la presentazione che fa di se la designer. «Vado sempre alla ricerca di prodotti da abbinare con altri materiali, come pelle, cuoio, lane, lini e sete – dice – amo reinterpretare i tessuti sardi in chiave moderna, dando una qualità quasi industriale, sul piano tecnico, a pezzi unici e fatti a mano». Quando è rientrata in Sardegna, Michaela Vargiu ha scelto di andare a stare a Sinnai, il luogo delle origini familiari. «La mia rete commerciale era fatta da facebook, i temporary shop e alcuni negozi di abbigliamento e sartorie alle quali lasciavo le mie borse in “conto vendita”», afferma Michaela Vargiu. Poi il giro ha iniziato a crescere e Michaela Vargiu ha attirato l’interesse di un numero sempre maggiore di clienti alla ricerca di un “cimelio” del vero made in Sardegna.

 Da quanto esiste questa realtà imprenditoriale?

Dal 2008. Nel momento in cui mi sono trasferita qui. Ho vissuto e studiato a Milano, ma la mia anima è sarda. Lì ho fatto la scuola di modellista industriale, facevo abiti e poi sono passata agli accessori. Dieci anni fa ho scelto, ho chiuso la sartoria a Milano e sono tornata in Sardegna pensando che il mio lavoro potesse essere dove sono le mie mani. Piano piano le cose girano e mi sono resa indipendente, fino a decidere di andare via da Sinnari per aprire il mio spazio, a metà tra laboratorio, bottega e atelier.

 Quanto e come sono cambiati la sua mission e il suo core business?

Siamo ancora in una fase in cui la mia si può considerare una scommessa, ma ormai il passo è fatto: la mia missione oggi è cambiata e molto. In meglio, naturalmente. Ora l’obiettivo è realizzare prodotti di nicchia e dare la possibilità alle persone di scegliere un prodotto che le faccia distinguere da quelli commerciali, con cui non ci si differenzia.

 Qual è il grado di innovazione tecnologica, di sistema e comunicativa e quanto ha influito sui risultati?

Nella produzione la tecnologia aiuta la progettazione, ma i materiali e la loro ricerca, le forme, la realizzazione sono il frutto della tradizione. Però è molto innovativo il modo di farsi conoscere e di commercializzare i prodotti. Rete e social mi stanno dando risultati positivi.

 Quanto è radicata nel territorio sia in termini sociali che economici?

Penso e credo che in termini sociali stia finalmente raccogliendo i frutti di una lunga e lenta semina, in termini economici ci dobbiamo ancora lavorare.

 I livelli occupazionali sono stabili o in crescita? E confidate che le strategie elaborate più di recente possano favorire la crescita degli occupati?

Sono stabili. Ancora non è il momento di pensare a nuove assunzioni di personale, ma spero in un futuro non troppo lontano: migliorerebbe il mio ritmo di lavoro e riuscirei a fare alcuni passi più lunghi, che ho già in mente.

  In che cosa investire in Sardegna ha rappresentato un plusvalore?

La qualità della vita più è misura d’uomo, e questa isola – la sua bellezza – è sicuramente una grande fonte di ispirazione.

  E quali invece sarebbero gli aspetti da migliorare?

Ci vorrebbe meno burocrazia, più informazione e sempre maggior sostegno alle piccole imprese come la mia.

  Quali sono gli obiettivi a breve, media lunga durata?

Ho appena aperto un mio punto vendita, vorrei che contribuisse a far conoscere il mio prodotto fuori dalla Sardegna.

  Esiste la possibilità che il vostro esempio possa ispirare altre realtà e la strutturazione di un vero e proprio distretto? Quanto è realisticamente fondata?

Credo che qui in Sardegna la parola comunity sia un concetto molto difficile, e tra l’altro non è importabile. Bisogna lavorare sulle nuove generazioni, a iniziare da quelle che rilevano le aziende di famiglia.

  Le politiche comunitarie, nazionali e regionali hanno rappresentato un’opportunità? Cosa consiglierebbe a chi vuole iniziare a fare imprese per non farsele sfuggire?

Va bene tutto ed è giusto costruire un sistema che premi il merito e agevoli chi vuole realizzare le proprie idee. Ma la passione e la determinazione non devono mancare.

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Imprese femminili
12/12/2017