Contratto a tempo indeterminato a “tutele crescenti”

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Il contratto a tutele crescenti è entrato in vigore il  7 marzo 2015 con il Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23.

Cosa è un contratto a “tutele crescenti”?

 È un contratto a tempo indeterminato che prevede un aumento delle tutele in caso di licenziamento in rapporto all’anzianità di servizio.

Tale contratto sostituirà tutte le forme di contratto di lavoro attualmente vigenti per cui i lavoratori dall’1 gennaio 2016 saranno: dipendenti a tempo indeterminato; dipendenti a tempo determinato, oppure, autonomi con partita IVA che svolgeranno la propria attività autonomamente.

Cosa cambia nei contratti di lavoro esistenti?

Non si potranno più fare assunzioni come collaboratore coordinato e continuativo (co.co.co) o collaboratore a progetto (co.co.pro.). Chi sia già stato assunto come collaboratore resterà tale, secondo la previgente disciplina, fino alla scadenza del contratto, in seguito dovrà essere assunto a tempo indeterminato, con il nuovo contratto a tutele crescenti.

Non sono stati modificati i contratti a tempo determinato (che fra proroghe e rinnovi non possono comunque superare i 36 mesi) e il lavoro a chiamata.

Per quanto riguarda l’apprendistato, saranno ridotti i costi per le aziende, con lo scopo di incentivarne l’utilizzo.

Di cosa si occupa il contratto a tutele crescenti?

Questo contratto a tempo indeterminato, si occupa (distinguendosi da quello passato), della parte relativa ai licenziamenti.

In caso di licenziamenti si ricorrerà al risarcimento economico che cresce (da qui la definizione "a tutele crescenti") in base all'anzianità di servizio. A crescere, pertanto, sarà l'importo del risarcimento. Solo in pochissimi casi è previsto il reintegro nel posto di lavoro.

A chi si applica?

Si applica ai nuovi assunti che inizieranno a lavorare a tempo indeterminato dall’entrata in vigore del provvedimento e, ai casi di conversione (successiva all’entrata in vigore), di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.

A chi si non si applica?

Non si applica a coloro che hanno già un contratto a tempo indeterminato e che mantengono le vecchie tutele (incluso il vecchio articolo 18). È esclusa, inoltre, l’applicazione ai dipendenti pubblici.

Cosa comporta il contratto a tutele crescenti per il lavoratore?

Il caso di licenziamento, senza giusta causa o giustificato motivo, il nuovo assunto, al posto del reintegro avrà diritto a un indennizzo che cresce con il crescere dell’anzianità lavorativa per ogni anno di lavoro oltre al riconoscimento da parte dello Stato dell’indennità di disoccupazione ASpI.

Cosa comporta il contratto a tutele crescenti per l’azienda?

Tale contratto sostituirà tutte le forme di contratto di lavoro attualmente vigenti, per cui un’azienda che vuole assumere deve farlo utilizzando o il contratto a tutele crescenti oppure a tempo determinato o con il nuovo apprendistato.

L’applicazione del contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro, comporta la riduzione degli oneri diretti ed indiretti, l’azienda ha diritto ad un esonero contributivo per 36 mesi, ad esclusione di quanto dovuto all’INAIL (premi e contributi).

Rientrano nella nuova disciplina i licenziamenti collettivi. Pertanto se un’azienda in difficoltà economiche gestisce gli esuberi senza rispettare i criteri di scelta della legge 223/ 91, agli assunti dopo il 7 marzo 2015, pagherà un indennizzo ma non sarà costretta a reintegrarli.

Quali sono i casi di licenziamento con diritto a reintegro e risarcimento?

Il diritto al reintegro per il lavoratore ingiustamente licenziato, sparisce per i licenziamenti di tipo economico (giustificato motivo oggettivo) e disciplinare (giustificato motivo soggettivo o giusta causa), mentre resta nei soli casi di licenziamenti:

  • discriminatori (sesso, razza, religione, convinzione politica o sindacale);
  • formulati a voce;
  • nulli;
  • disciplinari illegittimi (ma solo nel caso di fatto materiale insussistente).

In questo caso anche i nuovi assunti hanno diritto al reintegro sul luogo di lavoro e ad un risarcimento (per un minimo di 5 stipendi). L'unica novità consiste nel fatto che il lavoratore, entro un mese dalla sentenza del giudice, potrà scegliere se tornare al lavoro o essere indennizzato con 15 mensilità.

Quali sono i casi di licenziamento con indennizzo?

Il decreto legislativo, prevede un indennizzo di natura economica proporzionato all’anzianità di servizio del lavoratore dipendente nei casi di licenziamento:

  • individuali economici illegittimi;
  • individuali disciplinari illegittimi;
  • collettivi per violazione procedure o dei criteri di scelta.

L’indennizzo è previsto per i casi in cui il licenziamento avviene dopo che il rapporto di lavoro è in essere da almeno tre anni. In questi casi l’indennità prevista è pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR per ogni anno di servizio, con un minimo di 4 mensilità e con un massimo di 24 mensilità, secondo quanto stabilito dal giudice.

A quanto ammonta l’indennizzo?

A determinare l’importo dell’indennizzo è il giudice, unicamente in base all'anzianità di servizio del lavoratore:

  • Per aziende maggiori di  15 dipendenti: 2 mensilità per ogni anno di servizio (minimo 4 e massimo 24 mensilità);
  • per aziende minori di 15 dipendenti: 1 mensilità per ogni anno di servizio (minimo 2 e massimo 6 mensilità).

Sarà possibile anche ricorrere ad una “conciliazione veloce”, nella quale il datore di lavoro offre una mensilità per ogni anno di anzianità fino a un massimo di 18 mensilità.

Cosa è l’offerta di conciliazione?

Al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, Il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato, entro 60 giorni dal licenziamento (in sede giudiziale, sindacale, di arbitrato o presso una commissione di certificazione) una somma predefinita, esente da contribuzione previdenziale ed esentasse.

A quanto ammonta la somma oggetto dell’offerta di conciliazione?

Il datore di lavoro può offrire al lavoratore licenziato, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’IRPEF e non assoggettato a contribuzione previdenziale pari a:

  • per aziende con più di  15 dipendenti: 1 mensilità per ogni anno di servizio (minimo 2 e massimo 18 mensilità)
  • per aziende con meno di  15 dipendenti: 0,5 mensilità per ogni anno di servizio (minimo 1 e massimo 6 mensilità)

Il lavoratore riceve il pagamento mediante assegno circolare. Accettando l’assegno, rinuncia all’impugnazione del licenziamento.

 

Aggiornato il 12/09/2017